Il 12 ottobre 1942, Colombus Day, il presidente Roosevelt revoca lo status di nemici stranieri agli italo-americani. A convincerlo sono le pressioni politiche dell'establishment democratico e sindacale del paese. Giapponesi e tedeschi dovranno aspettare la fine della guerra per riacquistare i loro diritti.
Il 7 dicembre del 1941 gli Usa erano entrati in guerra. Un decreto di Roosevelt stabiliva che gli italiani, i giapponesi e i tedeschi residenti in America dovevano essere trattati da stranieri nemici. Il decreto colpì 600.000 italo-americani privi di cittadinanza Usa.Centinaia di italiani furono tratti in arresto nei mesi successivi al bombardamento di Pearl Harbor. Un numero ancora oggi indefinito di italiani venne internato in campi militari in Montana, Oklahoma, Tennessee e Texas. Il più noto era il campo di Missoula. Alcune centinaia vi rimasero per oltre due anni. Molti furono spostati in continuazione da un campo all'altro.
L’internamento di oltre 100.000 giapponesi è un fatto noto, non altrettanto la deportazione e l’internamento di migliaia di Italiani che vennero classificati come stranieri nemici.
Dobbiamo ricordare che all’epoca della Seconda Guerra Mondiale gli italiani rappresentavano la comunità di emigranti più numerosa in America, ma nel corso di una sola notte divennero il Nemico. Per seicentomila individui il Sogno Americano si trasformò improvvisamente in un incubo. Isolati, privati dei diritti civili, sottoposti a coprifuoco, rinchiusi in campi di internamento, lontani dalle proprie famiglie e dai propri affari, o addirittura imprigionati. Non per quello che avevano fatto, ma per quello che avrebbero potuto fare. La loro unica colpa era quella di essere italiani.
Esemplare, quanto poco nota, la vicenda della famiglia Di Maggio. Mentre la leggenda del baseball Joe ed i fratelli Dominic e Vince partivano per il fronte indossando la divisa americana, il padre Giuseppe veniva deportato e costretto ad abbandonare la gestione del ristorante al Fisherman Wharf di San Francisco. Il vecchio Di Maggio non si era mai curato di avviare la procedura burocratica di nazionalizzazione per sè. Aveva pensato solo a lavorare duro, a crescere ed educare i figli. Il suo essere rimasto italiano gli valse l’etichetta di straniero nemico, con la applicazione delle conseguenti misure restrittive.
600.000 famiglie furono etichettate come "enemy aliens" - stranieri nemici, da un giorno all’altro e le loro garanzie fondamentali furono violate, causando danni permanenti e spesso tragedie.
Non si possono, e non si devono dimenticare le tremende vicende umane di Martini Battistessa, di Giuseppe Mecheli, di Stefano Terranova, di Giovanni Sanguenetti, anziani immigrati che, nell’arco di 5 giorni dall’ordine di evacuazione nel febbraio 1942, si suicidarono, incapaci di comprendere e sopratutto di accettare quella decisione che avrebbe sconvolto le loro vite, sotto il piano economico e quello degli affetti.
Il Governo Americano, come è facile intuire, non aveva alcun interesse a pubblicizzare una storia di palesi violazioni dei diritti civili, mentre la comunità italiana ha voluto dimenticare al più presto una vicenda che ha vissuto, paradossalmente come una vergogna. Una umiliazione della quale non parlare nemmeno con i figli o con i nipoti. Dobbiamo tener presente che per gli immigrati italiani negli anni 30 e 40 il vero obiettivo era quello di integrarsi, di diventare insomma americani, e questa vicenda non li avrebbe aiutati in questo percorso.
I giapponesi invece, già all’indomani della fine della guerra, chiesero le scuse del governo americano, che ottennero ufficialmente nel 1988, insieme ad un indennizzo di $ 20,000 per ogni vittima del pregiudizio etnico.
L’internamento di oltre 100.000 giapponesi è un fatto noto, non altrettanto la deportazione e l’internamento di migliaia di Italiani che vennero classificati come stranieri nemici.
Dobbiamo ricordare che all’epoca della Seconda Guerra Mondiale gli italiani rappresentavano la comunità di emigranti più numerosa in America, ma nel corso di una sola notte divennero il Nemico. Per seicentomila individui il Sogno Americano si trasformò improvvisamente in un incubo. Isolati, privati dei diritti civili, sottoposti a coprifuoco, rinchiusi in campi di internamento, lontani dalle proprie famiglie e dai propri affari, o addirittura imprigionati. Non per quello che avevano fatto, ma per quello che avrebbero potuto fare. La loro unica colpa era quella di essere italiani.
Esemplare, quanto poco nota, la vicenda della famiglia Di Maggio. Mentre la leggenda del baseball Joe ed i fratelli Dominic e Vince partivano per il fronte indossando la divisa americana, il padre Giuseppe veniva deportato e costretto ad abbandonare la gestione del ristorante al Fisherman Wharf di San Francisco. Il vecchio Di Maggio non si era mai curato di avviare la procedura burocratica di nazionalizzazione per sè. Aveva pensato solo a lavorare duro, a crescere ed educare i figli. Il suo essere rimasto italiano gli valse l’etichetta di straniero nemico, con la applicazione delle conseguenti misure restrittive.
600.000 famiglie furono etichettate come "enemy aliens" - stranieri nemici, da un giorno all’altro e le loro garanzie fondamentali furono violate, causando danni permanenti e spesso tragedie.
Non si possono, e non si devono dimenticare le tremende vicende umane di Martini Battistessa, di Giuseppe Mecheli, di Stefano Terranova, di Giovanni Sanguenetti, anziani immigrati che, nell’arco di 5 giorni dall’ordine di evacuazione nel febbraio 1942, si suicidarono, incapaci di comprendere e sopratutto di accettare quella decisione che avrebbe sconvolto le loro vite, sotto il piano economico e quello degli affetti.
Il Governo Americano, come è facile intuire, non aveva alcun interesse a pubblicizzare una storia di palesi violazioni dei diritti civili, mentre la comunità italiana ha voluto dimenticare al più presto una vicenda che ha vissuto, paradossalmente come una vergogna. Una umiliazione della quale non parlare nemmeno con i figli o con i nipoti. Dobbiamo tener presente che per gli immigrati italiani negli anni 30 e 40 il vero obiettivo era quello di integrarsi, di diventare insomma americani, e questa vicenda non li avrebbe aiutati in questo percorso.
I giapponesi invece, già all’indomani della fine della guerra, chiesero le scuse del governo americano, che ottennero ufficialmente nel 1988, insieme ad un indennizzo di $ 20,000 per ogni vittima del pregiudizio etnico.
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