sabato 31 ottobre 2009

La Battaglia d'Inghilterra


La battaglia d'Inghilterra è il nome storico della campagna aerea combattuta sui cieli della Manica e dell'Inghilterra fra l'aviazione britannica e quella tedesca, supportata da unità italiane e di altre nazioni alleate, nel corso della seconda guerra mondiale.

Il motivo strategico della battaglia fu la volontà tedesca di conquistare la supremazia sui cieli della Manica e dell'Inghilterra meridionale, come condizione preliminare per l'attuazione del piano d'invasione dell'isola (operazione Leone Marino), tesa a vanificare la supremazia della Royal Navy che avrebbe impedito qualunque tentativo di attraversamento del canale della Manica.

La battaglia terminò il 31 ottobre 1940, col successo dell'aviazione britannica, che mantenne il controllo aereo della Manica e segnò un punto di svolta importante a favore delle forze alleate nel corso della guerra, costringendo Hitler a rinunciare al piano di invasione del Regno Unito.

venerdì 30 ottobre 2009

La Brigata "Bolero"


La 63a brigata Garibaldi fu costituita nella primavera-estate 1944 quando furono accorpati numerosi nuclei armati che operavano nella zona ad ovest di Bologna, in pianura e in montagna. I nuclei più grossi erano quelli di Monte San Pietro guidato da Amleto Grazia "Marino" e Monaldo Calari "Enrico". Comandante fu nominato Corrado Masetti "Bolero".
La Compagnia comando della 63° Brigata Bolero Garibaldi, la notte del 29 ottobre 1944, proveniente dalle colline di Rasiglio, raggiunse Casteldebole.
Il progetto era di guadare il fiume Reno, servendosi del barcone di "Guston".
Il fiume Reno, in piena, obbligò i partigiani a desistere da tale intento.
il 30 Ottobre 1944 le unità tedesche, che da mesi avevano occupato il borgo di Casteldebole, bloccarono i partigiani, (pare per una spiata), costringendoli allo scontro in condizioni strategiche disperate; da una parte il fiume Reno in piena, dall'altra una Compagnia di paracadutisti con batteria antiaerea. Per i soldati tedeschi, in quelle condizioni di superiorità numerica e di vantaggio sul terreno, fu fin troppo semplice l'eliminazione del nemico.
Elenco caduti:
Masetti Corrado (Bolero)
Calari Monaldo (Enrico)
Seghi Volfranco
Rondine Luigi
Venturoli Franco
Pedrini Attilio
Franceschini Enrico
Fanti Renzo
Masetti Arvedo
Murotti Aldo
Poli Ubaldo
Testoni Costantino
Adani Gino
Magagnoli Giuseppe
Marchini Mario
Migliori Marino
D'Errico Pasquale
"Karaton" (militare russo)
"Gregori" (militare russo)
Nella foto del 1933 Corrado Masetti (l'unico senza cappello) con alcuni amici.

giovedì 29 ottobre 2009

Nascita di Pomezia

Grandi opere precedettero la costruzione della citta' poiche' la zona era malsana e inospitale a causa del terreno paludoso in cui si trovava.

La fascia costiera, dopo qualche decina di metri dal mare, aveva una marcata contropendenza e questa e' la ragione per cui i fossi e le marane non sfociavano direttamente al mare creando la palude.

Il territorio di Pomezia venne espropriato alle grandi tenute semi-abbandonate dei vecchi proprietari latifondisti. Negli anni '30 in queste tenute vivevano sparute comunita' familiari in casali sparsi ed erano formate da fattori, mandriani e pochi agricoltori. Un' altra popolazione vi albergava solo in alcuni periodi dell'anno e proveniva generalmente dai paesi della Ciociaria e dagli Abruzzi dedicandosi alla pastorizia, all'industria boschiva e del carbone. Questa popolazione viveva, da Ottobre a Giugno, in rozze capanne sparse nelle radure della macchia, riuniti in piccoli gruppi.

Il territorio di Pomezia, come estensione, lo si considerava il piu' grande comune d'Italia per la popolazione residente negli anni '40, spaziava dal mare ai confini dei Castelli Romani, dai confini di Anzio e Aprilia a Roma. Nel nuovo comune di Pomezia faceva parte integrante il Borgo di Pratica di Mare, il Borgo di Ardea, il Borgo del Cerqueto di Santa Palomba, e ventidue casali delle vecchie proprieta'.

Il nuovo territorio di Pomezia era formato dal 30% di boschi di sughero, olmi, roveri e querce di alto fusto, il 60% di dune con vegetazione legnosa composta da rovi di more, peri selvatici, bianco spino, ginestre, asparagina, pungi topo e fitta vegetazione erbacea, mentre il 10% era formato da paludi le quali si trovavano lungo il territorio di Torvajanica e spaziavano da Campo Ascolano a Tor San Lorenzo. La palude era composta da una fitta vegetazione di canneti, felci ed erba acquatica, habitat naturale di zanzare, rane, bisce e selvaggina d'acqua che rappresentava una ricca cacciagione per i cacciatori provenienti dai Castelli Romani.

L'opera di bonifica iniziò subito dopo l'inaugurazione della citta' di Aprilia il 25 Aprile 1938. Si inizio' con la bonifica e il prosciugamento delle paludi lungo il litorale di Torvajanica con l'installazione di stazioni di pompaggio delle acque basse verso i fossi piu' alti che sfociavano al mare. Gli impianti idrovori, costruiti nel territorio, furono quattro. Il primo in localita' La Fossa, il secondo in localita' Campo Jemini, il terzo in localita' Campo Selva e il quarto a Tor San Lorenzo. L'opera di bonifica creo' molto lavoro : imprese di costruzione, stradali, inprese di bonifica dei fossi, imprese di decespugliamento e disboscamento, imprese di dissodamento dei terreni. I lavori dovevano essere consegnati entro Settembre 1939.

Sarebbero state le famiglie dei coloni trentini della Bosnia e dei coloni veneti della Romania a consolidare l'eccelsa opera della bonifica pontina, ma l'alluvione e le frane della primavera precedente e la fretta di occuparsi dei senza tetto della provincia di Forli', rimando' la partenza dei coloni al 1940. Il 24 Giugno 1939, partirono da Forli' le prime quaranta famiglie piu' disagiate, nonostante la bonifica non fosse terminata. Queste vennero accompagnate alla stazione da donna Rachele Mussolini. Dopo il saluto e un breve discorso vi fu la partenza per Pomezia.

Le famiglie romagnole arrivate a Santa Palomba furono accolte dagli incaricati dell'O.N.C. e dal comitato d'onore formato dai nativi di Ardea e Pratica di Mare. Dopo un breve saluto e un fugace riposo le famiglie furono accompagnate con i camion militari alla propria casa colonica assegnata.

Arrivate ai poderi dopo aver attraversato strade sterrate, i fattori dell'O.N.C. consegnarono ai capo famiglia le chiavi dei casali. All'interno dei casali c'era di tutto: mobili, letti, lenzuola, coperte, generi alimentari e perfino la legna ed i fiammiferi sul focolare. L'entusiamo iniziale fu interrotto molto presto dalla realta' circostante : terreni non ancora bonificati del tutto, cespugli di spini, mosche e zanzare.

Tutte le mattine gli incaricati del O.N.C. a cavallo passavano per i casali a consegnare latte e uova fresche rassicurando i coloni che presto sarebbero terminati i lavori di bonifica..

Alla fine di Luglio 1939 fu terminata la bonifica dei campi e la mattina del 1 Agosto con due fischi di sirena iniziò la prima aratura. Aratri che andavano in profondita' di circa un metro, trainati da due grandi macchine a vapore, le cosiddette trattrici Fowler, ribattezzate dai coloni " le favole ", solcarono i terreni. La terra rivoltata di circa un metro di profondita' copriva le zolle di erba, di insetti, tarantole, vipere ecc. La terra vergine e fertile, per la prima volta dopo millenni veniva baciata e riscaldata dai raggi del sole di Agosto. L'Opera Nazionale Combattenti consegno', quindi, ad ogni famiglia l'attrezzatura necessaria per il completamento della bonifica e per la coltivazione: aratri, erpici, rompizolle e due vacche maremmane. Dopo le prime pioggie di Settembre i coloni iniziarono a spianare i terreni per prepararli alla semina.

Nello stesso mese iniziarono ad insediarsi le famiglie dei coloni provenienti dalla Francia. Infatti, subito dopo il 1 Settembre 1939, quando la Germania e la Russia occuparono la Polonia, le autorita' francesi si irrigidirono sempre piu' nei confronti dei nostri connazionali e li costrinsero a lasciare tutto e a fuggire in fretta e furia. Queste famiglie allora vennero premiate dal governo fascista che gli consegno' i poderi dell'Agro Pontino.

Tra Gennaio e Maggio del 1940 arrivarono anche i coloni trentini della Bosnia e i Veneti della Romania.

Il centro storico di Pomezia fu costruito in soli 18 mesi. Dal 25 Aprile del 1938, con la posa della prima pietra, al 29 Ottobre 1939 furono realizzati il comune e la torre civica , la posta , la chiesa, le scuole e la palestra, l'asilo con gli alloggi per le suore, il cinema, la casa del fascio, la caserma dei carabinieri, l'albergo, il consorzio agrario e trenta appartamenti per gli impiegati comunali e dell' O.N.C., nonche' i negozi cittadini. Nell'arco degli stessi 18 mesi furono realizzate 187 case coloniche di cui 141 di nuova costruzione e 46 furono ricavate dalla ristrutturazione di vecchi casali. Le nuove case erano costruite a due piani, prevedevano al primo piano tre/quattro camere da letto, al piano terra vi era la cucina, il magazzino, il capannone e la stalla. All'esterno, dietro il fabbricato, vi era la concimaia e il gabinetto e al fianco del fabbricato vi era il forno, il porcile ed il pollaio. Davanti al casale vi era il pozzo completo di pompa a mano e tre vasche in cemento. Ogni casa colonica aveva un podere che variava dai 16 ai 32 ettari di terreno e veniva consegnato in relazione ai componenti lavorativi di ogni famiglia.

Terminati i lavori di bonifica e di costruzione di Pomezia, il 29 Ottobre 1939 era tutto pronto per l'inaugurazione. Mussolini parti' da Roma accompagnato dal presidente dell'Opera Nazionale Combattenti On. Araldo di Crollalanza e da un notevole seguito di autorita'. Raggiunse prima in visita Ardea poi si reco' in visita di due poderi. Il primo del romagnolo Fabbri Antonio di Via Laurentina e qui vi pianto' alcune piante da frutta, poi si trasferi' in via della Monachelle presso la famiglia Tocacelli Adele in Mini dando luogo alla inaugurazione della prima semina del grano.

Alle ore 15,30 circa di quel 29 Ottobre 1939, il corteo entro' in Pomezia per via Roma e piazza dell'Impero (oggi piazza Indipendenza). Mussolini visito' la casa del fascio, si diresse verso il comune e qui gli mostrarono il confalone della citta' che fu benedetto da Mons. Guglielmo Grassi. Al termine della cerimonia, il duce sali' sul podio della torre, salutato dalla folla entusiasta; assaporo' un grappolo d'uva e delle mele offerte dai coloni dell'agro e quindi diede luogo al suo discorso, dicendo:

" L'anno XVIII dell'era fascista non potrebbe cominciare sotto auspici migliori. Comincia con l'inaugurazione di Pomezia, quinto comune dell'Agro Pontino Romano, oggi il piu' giovane comune d'Italia. La battaglia contro la mortifera palude e' durata dieci anni, ma noi oggi qui possiamo esaltare la nostra piena ed indiscutibile vittoria. Vittoria sulle forze disordinate della natura, vittoria sull' inerzia dei vecchi governi che furono e non torneranno. Per questa vittoria abbiamo impegnato manipoli di ingegneri, falangi di tecnici, moltitudini di operai che hanno tracciato strade, scavato canali, costruito case per riporre la vita lì ove regnava la morte. Se il regime fascista nei suoi primi diciassette anni di vita non avesse al suo attivo altra opera che fu quella della bonifica delle paludi pontine, cio' basterebbe per raccomandarne la gloria e la potenza ai secoli che verranno. Ma il regime ha al suo attivo altre formidabili imprese ed e' ben lungi dall'avere esaurito il suo ciclo e soprattutto la forza indomabile della sua volonta'. Camerati Rurali ! Mettetevi subito al lavoro con quell' intelligente tenacia che e' un peculiare attributo della razza italiana, portate - nel vostro interesse e in quello della nazione - al massimo della fecondita' la terra che attende la vostra fatica. Questi poderi che vi vengono consegnati dall'Opera Nazionale Combattenti un giorno potranno essere vostri e dei vostri figli: Dipende soltanto da Voi .

Terminato il discorso fra applausi e ovazioni, prese la parola il presidente del O.N.C. On. Araldo da Crollalanza. Con l'inaugurazione di Pomezia, che avviene regolarmente nei tempi e nei modi da Voi fissati, la battaglia per la redenzione dell'Agro Pontino Romano, sbocca vittoriosamente al suo epilogo. La ciclopica impresa, nella quale invano si cimentarono imperatori e papi, e che Voi impostate con romana concezione, ispirata ad alte finalita' politiche, igieniche ed economiche, si conclude, in poco meno di un decennio: fu infatti solo il 23 Novembre 1929 che Voi, visitando l'Agro Pontino, imprimeste ai lavori idraulici, affidati al Consorzio di Bonifica, il ritmo decisivo, assicurandone gli adeguati finanziamenti, mentre e' solo del 28 Agosto 1931 il Decreto Reale che attribuiva al O.N.C. i primi 18.000 ettari di terreni da trasformare, e dal 10 Novembre 1931, cioe' di otto anni fa, l'effettivo inizio di tali lavori. Le tappe della grande battaglia che, nel Vostro nome e sotto la Vostra guida, e' stata combattuta in questi anni dai Consorzi di Bonifica e dall'Opera Combattenti, sorretti dagli organi di partito e dal Ministero dell'Agricoltura, affiancati dalle Universita' Agrarie e dai piu' volenterosi proprietari, con la valida collaborazione del Commissariato per le Migrazioni e la Colonizzazione, della Milizia Forestale e delle Autorita' Sanitarie, ha impegnato un esercito di lavoratori, per un complesso di circa 30 milioni di giornate lavorative ecc...

(informazioni tratte dal libro" POMEZIA quinta citta' dell'Agro Pontino - dalle paludi alla bonifica "- di Pietro Guido Bisesti)

mercoledì 28 ottobre 2009

Marcia su Roma



La fine della Prima Guerra Mondiale, nel 1918, aveva lasciato l'Italia in una grave crisi economica.
Dal 1919 al 1922 si susseguirono i governi di F.S. Nitti, G.Giolitti, I.Bonomi e L.Facta senza che fossero date risposte concrete al malcontento dei diversi strati della popolazione. Anzi, la lotta politico/sociale si inasprì ulteriormente quando si presentò sulla scena il movimento dei "Fasci italiani di combattimento" fondato da Benito Mussolini.
Allo sciopero generale di protesta contro lo squadrismo fascista, indetto da forze di sinistra nel luglio del 1922, rispose la mobilitazione, a Napoli, dei Fascisti che cominciarono apertamente a parlare di conquistare il governo del paese.

Questa azione culminò con la "marcia su Roma", 28 ottobre 1922.

L'esercito italiano fermò abbastanza agevolmente la marcia alle porte di Roma, ma il decreto di stato d'assedio, sottoposto da Facta al re Vittorio Emanuele III, che avrebbe consentito di fronteggiare la rivolta armata, non venne firmato. Facta si dimise e il re prese contatti con Mussolini, rimasto a Milano, per la costituzione di un nuovo governo, forse nell'intento di assorbirlo in un governo di coalizione presieduto da Salandra. Mussolini però, assumendo un atteggiamento intransigente, fece fallire ogni soluzione di compromesso ottenendo dal re l'incarico di formare il nuovo governo.

martedì 27 ottobre 2009

Costituzione dell'Esercito Repubblicano


IL DUCE DEL FASCISMO

Capo dello Stato Nazionale Repubblicano

Accertato che le Forze Armate Regie, durante la guerra in corso, sono state fin dall’inizio, deliberatamente tradite dalla dinastia e dai capi militari ad essa legati, che hanno paralizzato gli splendidi, mirabili atti di valore compiuti e reso vano il sangue generoso versato;

Considerato che con la resa e col tradimento dell’8 settembre 1943 la dinastia e i capi militari ad essa legati hanno disonorato le Forze Armate Regie, di fronte al popolo italiano e al mondo;

Sentito il Consiglio dei Ministri;

Decreta:

Art. 1

Il regio esercito, la regia marina e la regia aeronautica hanno cessato di esistere in data 8 settembre 1943. Gli ufficiali e sottufficiali in servizio a tale data che non siano venuti meno alle leggi dell’onore militare riceveranno il trattamento di pensione loro spettante in base alle leggi in quel momento vigenti.

Art. 2

In data 9 settembre 1943 si intendono costituiti : l’Esercito Nazionale Repubblicano; la Marina di guerra Nazionale Repubblicana; l’Aeronautica Nazionale Repubblicana.

Tutti i militari di ogni grado che, provenienti dalle disciolte Forze regie e mossi da profondo sentimento dell’onore militare e nazionale hanno continuato a servire passando sotto le bandiere repubblicane o che hanno domandato o domanderanno di far parte delle nuove Forze Armate Nazionali, sono considerati volontari di guerra in servizio permanente effettivo a tutti gli effetti di legge a datare dalla data della loro presentazione al corpo.

Il Ministero della difesa nazionale provvederà alla creazione di nuovi ruoli di ufficiali e sottufficiali tenendo conto del grado militare precedentemente ricoperto e dei servizi militari prestati.

Art. 3

Il trattamento delle Forze Armate Repubblicane quanto ad assegni, indennità personali e delle famiglie, razione viveri e assistenza, è tutto identico a quello goduto dalle Forze Armate Alleate Germaniche, salvo ulteriori miglioramenti dopo la guerra.

Art. 4

Il Governo Repubblicano, interpretando il sentimento di riconoscenza del popolo italiano verso i gloriosi caduti e verso le famiglie vittime dei traditori continuerà il pagamento integrale delle pensioni di guerra per i caduti ed i mutilati;

degli assegni alle famiglie dei prigionieri che non vennero meno all’onore nazionale.

Art. 5

Restano in servizio per il mantenimento dell’ordine i Carabinieri e la Guardia di finanza.

Art. 6

Il presente decreto entra in vigore dal 28 ottobre 1943.

Addì 27 ottobre 1943

Barracu – Graziani – Pavolini – Mazzolini – Pellegrini – Biggini – Moroni – Tringali Casanova – Buffarini – Romano – Mezzasoma – Liverani

MUSSOLINI

lunedì 26 ottobre 2009

La battaglia di Leyte


Il 26 ottobre 1944, dopo quattro giorni di furiosi combattimenti termina la battaglia del golfo di Leyte, la più grande battaglia aero-navale della storia. Ebbe luogo durante la Seconda Guerra Mondiale e terminò con la vittoria decisiva degli americani sui giapponesi. Con l'avanzare della liberazione statunitense delle Filippine il comando giapponese decise di schierare l'intera flotta per respingere gli americani. Il 23 ottobre gli opposti schieramenti si scontrarono, con centinaia di navi da guerra e migliaia di aerei impegnati in tre battaglie contemporanee. Il 26 ottobre ciò che rimase della flotta giapponese si ritirò lasciando agli alleati il controllo del Pacifico. Dopo la battaglia di Leyte gli alleati lanciarono una crescente campagna di bombardamenti contro il Giappone, culminata con le atomiche su Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945, costringendolo alla resa.

domenica 25 ottobre 2009

Nascita del D.L.F.

La storia

DAL 1925 SUI BINARI DELLA SOLIDARIETA' E DELLA PARTECIPAZIONE

Siamo ai primi anni del Novecento e i processi di trasformazione della società assumono ritmi sconosciuti nei secoli precedenti: la ferrovia, con i suoi convogli sbuffanti, le eleganti carrozze liberty e i duri sedili in legno della terza classe, è in prima lineanel processo di cambiamento imposto dal progresso. Un regio decreto legge del 25 ottobre 1925 sancisce la nascita del Dopolavoro Ferroviario, il primo e più importante Dopolavoro per numero di aderenti e per la dimensione delle iniziative sviluppate. A fronte di un lavoro duro e logorante, i ferrovieri hanno la possibilità di ritrovarsi e di vivere, insieme alle loro famiglie, esperienze nuove ed originali fatte di incontri con persone diverse, di attività sportive e culturali e di prime forme di turismo organizzato.
Al vigoroso e immediato sviluppo del DLF contribuiscono la capillarità della rete ferroviaria, la facilità e la rapidità di comunicazione sul territorio nazionale e, non ultimo, il grande spirito di corpo dei ferrovieri. Una storia, quindi, che affonda le sue radici nel territorio


sabato 24 ottobre 2009

L'Asse Roma-Berlino


Il 24 Ottobre 1936 nacque l'Asse Roma-Berlino in cui le due potenze, Italia e Germania, si impegnavano nella lotta contro il bolscevismo e a sostegno dei militari spagnoli ribellatisi al governo democratico. Da quel momento, i rapporti tra le due potenze si fecero sempre più stretti.

venerdì 23 ottobre 2009

Battaglia di El Alamein

El Alamein, 23 ottobre 1942: la Folgore entra nella leggenda


“Dobbiamo davvero inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della Folgore…” Con queste parole, pronunciate alla Camera dei Comuni di Londra, Winston Churchill rese onore all’eroico sacrificio dei soldati italiani a El Alamein, in quelle drammatiche giornate di fine nell’ottobre del 1942 che infiammarono le sabbie del deserto con il riverbero di una lotta disperata e leggendaria.

“La Divisione Folgore ha resistito al di là di ogni possibile speranza”, lanciò nell’etere Radio Cairo l’8 novembre 1942 per bocca del corrispondente Heartbrington. “Gli ultimi superstiti della Folgore sono stati raccolti esanimi nel deserto. La Folgore è caduta con le armi in pugno”, rieccheggiò la BBC da Londra. L’onore delle armi del nemico, la testimonianza più autentica, l’unica che, in fondo, valga davvero qualcosa.


Paolo Caccia Dominioni: lettera aperta a Montgomery

Mio Lord, quando Ella pubblicò le Sue memorie Le scrissi che avrebbe fatto meglio a tacere, perché le rodomontate possono anche piacere nel caporale che poi le deve giustificare a esclusivo rischio della propria pelle, non in un capo arrivato ai massimi onori e tuttavia compiaciuto di mescolare il forsennato orgoglio a un livore da portinaia parigina. Tutto ciò manca di stile, non è da Lord. […] Le scrivo proprio da Alamein, mio Lord, dove Ella fece indubbiamente una importante esperienza nei nostri riguardi, vorrei ragionare un po’ di queste cose.

Chiedo venia se parlo di me, modesto capo di un buon battaglione; ma poi ebbi il privilegio di tornare qui e vi ho trascorso complessivamente, tra il 1948 e oggi, circa dieci anni, assieme a Renato Chiodini, mio soldato di allora.

Gli inglesi addetti al ricupero delle Salme d’ogni nazione, anziché compiere l’opera iniziata nel 1943, l’avevano considerata esaurita soltanto quattro anni dopo. La riprese il governo italiano, e così molte altre migliaia di caduti italiani, tedeschi e alleati furono ritrovate a cura di noi due.
Questo lungo lavoro ci ha fatto capire bene la battaglia, molto meglio delle documentazioni segrete, perché abbiamo estratto dalla sabbia i plotoni, le compagnie e i reggimenti. Non ci è mancato il tempo di imparare la esatta verità. […]

Qualche cosa abbiamo letto, anche sopra la guerra. Il generale Freddy De Guingand, Suo capo di stato maggiore, mentì quando scrisse che l’attacco britannico ad Alamein fu risolutivo verso il mare e dimostrativo a sud. È l’affermazione ufficiale, ribadita anche nei documenti a firma di Lord Alexander e Sua.

Essa mi ha fatto, ogni volta, fremere di sdegno perché ambedue gli attacchi furono risolutivi. A nord furono travolti, la notte stessa sul 24 ottobre 1942, due battaglioni tedeschi e tre italiani, ma una resistenza furiosa, a tergo, per otto giorni impedì a Lei di avanzare nonostante la documentata proporzione di uno a sei in Suo favore.

Al centro, mio Lord, fu piccola giostra, ma quando quel settore ripiegò, la Bologna e l’Ariete Le dettero molto lavoro, come gliel’avevano dato, a nord, la Trento, la Trieste e la Littorio. A sud il Suo generale Horrocks, comandante il XIII corpo d’armata, avrebbe dunque avuto da Lei l’ordine di fare un’azione dimostrativa.

Un ordine che vorrei proprio vedere con questi occhi miei. Laggiù non c’era bisogno che Ella cercasse la sutura tra tedeschi e italiani, in modo di attaccare solo i secondi, cioè quelli che non avevano voglia di combattere.

Pensi che fortuna, mio Lord: niente tedeschi, tutti italiani, proprio come voleva Lei.

La Folgore, con altri reparti minori, tra cui il mio.

Nel Suo volume Da Alamein al fiume Sangro, Ella ebbe la impudenza di affermare che Horrocks trovò un ostacolo impensato, i campi minati: e toglie implicitamente qualsiasi merito alla difesa fatta dall’uomo; vuol ignorare che quei campi erano stati creati anni prima dagli stessi inglesi, che vi esistevano strisce di sicurezza non minate e segrete, a noi ignote, che permisero ai Suoi carri di piombarci addosso in un baleno, accompagnati da fanterie poderose.

Eppure l’enorme valanga, per quattro giorni e quattro notti, fu ributtata alla baionetta, con le pietre, le bombe a mano e le bottiglie incendiarie fabbricate in famiglia.

La Folgore si ridusse a un terzo, ma la linea non cedette neppure dove era ridotta a un velo. Nel breve tratto di tre battaglioni attaccati, Ella lasciò in quei pochi giorni seicento morti accertati, senza contare quelli che furono ricuperati subito e i feriti gravi che spirarono poi in retrovia.

E questa è strage da attacco dimostrativo? Come può osare affermarlo?

Fu poi Lei a dichiararlo tale, dopo che Le era finalmente apparsa una verità solare: mai sarebbe riuscito a sloggiarci dalle nostre posizioni (che abbandonammo poi senza combattere, d’ordine di Rommel, ma questa è faccenda che non riguarda Lei), e preferì spedire il Suo Horrocks a nord, per completare lo sfondamento già in atto. La sua malafede, mio Lord, è flagrante.

Ella da noi le prese di santa ragione. Io che scrivo e i miei compagni fummo e restiamo Suoi vincitori.

PAOLO CACCIA DOMINIONI

giovedì 22 ottobre 2009

La Repubblica dell'Ossola

Questa repubblica esistette dal 9 settembre al 22 ottobre 1944.

I partigiani del CLN, l'8 settembre 1944 attaccarono le truppe fasciste di stanza a Domodossola, sconfiggendole e proclamando la repubblica.

Bandiera della Repubblica (partigiana) dell'Ossola usata dalle Brigate azzurre
(8 settembre 1944 - 22 ottobre 1944)

A differenza di altre Repubbliche partigiane la Repubblica dell'Ossola fu in grado, in poco più di un mese di vita, di affrontare non solo le contingenze imposte dallo stato di guerra, ma anche di darsi un'organizzazione articolata: vennero assunti funzionari (commissari) per l'amministrazione civile con il potere di assumere impiegati, venne vietata l'esportazione di valuta, venne rinnovata la toponomastica della valle.

Tutte le leggi e i corpi militari fascisti vennero sciolti in soli 2 giorni. Salò reagì tagliando i rifornimenti all'intera valle, ma, dopo alcune incertezze, la piccola repubblica ottenne l'appoggio della Svizzera.

Il 10 ottobre i fascisti attaccarono con 14.000 uomini e, dopo aspri scontri, il 23 ottobre riconquistarono tutto il territorio. La gran parte della popolazione abbandonò la Val d'Ossola per rifugiarsi in Svizzera lasciando il territorio pressochè deserto, impedendo di fatto le forti rappresaglie che furono minacciate dai fascisti e dal capo della provincia in particolare. A tal proposito proprio il capo della provincia Enrico Vezzalini scrisse il famoso comunicato a Mussolini che recitava: "Abbiamo riconquistato l'Ossola, dobbiamo riconquistare gli Ossolani".

mercoledì 21 ottobre 2009

Accordo Hitler Mussolini sulle minoranze Altoatesine


Il 21 ottobre 1939, Adolf Hitler e Mussolini raggiunsero un accordo sull'assimilazione delle minoranze di lingua tedesca e ladina della provincia. Gli appartenenti a queste due comunità avevano tempo fino al 31 dicembre 1939 per scegliere tra rimanere in Italia, ma non avendo alcun riconoscimento quale minoranza, o emigrare nella Germania nazista, ipotesi nota come Option für Deutschland (opzione per la Germania). Ai fini di gestire l'opzione le autorità naziste avevano stabilito distaccamenti ufficiali nelle località della provincia di Bolzano. L'85%-90% della popolazione optò per l'emigrazione (coloro che fecero questa scelta furono chiamati Optanten) e la VKS fu trasformata da Peter Hofer, con l'aiuto delle autorità tedesche, nella ADO, la Arbeitsgemeinschaft der Optanten für Deutschland (Associazione degli optanti tedeschi), fondata il 30 gennaio 1940. Essa doveva dare supporto agli emigranti e di fatto fu l'associazione dei residenti di lingua tedesca della provincia di Bolzano che scelsero di emigrare nel Terzo Reich, agli stessi fu permesso di avere la qualità di cittadini tedeschi e di far parte delle associazioni tirolesi; la popolazione che scelse di rimanere si organizzò invece nell' Andreas Hofer Bund (Lega di Andreas Hofer) che ebbe spesso l'appoggio della chiesa e dei sacerdoti locali e fu diretta da Friedl Volgger e Hans Egarter. Chi scelse di rimanere (Dableiber), fu additato come traditore, spargendo inoltre la voce di - in realtà inesistenti - deportazioni in Sicilia. D'altra parte chi scelse di partire (Optanten) fu qualificato come nazista. L'opzione distrusse molte famiglie e si ritiene che abbia ritardato lo sviluppo economico della provincia di molti anni.


martedì 20 ottobre 2009

Bombardamento di Gorla

La mattina del 20 ottobre 1944 decollano dagli aeroporti pugliesi i bombardieri americani B 24 del 49° BombWing. Obiettivo: bombardare alcune installazioni nell’area nord di Milano. A causa di un errore l’obiettivo è mancato, ma le bombe vengono ugualmente sganciate.
Alle 11.14 suona la sirena del “piccolo allarme”, a cui fa seguito la seconda del “grande allarme” dieci minuti dopo. Nel quartiere milanese di Gorla insegnanti e inservienti della scuola elementare Francesco Crispi radunano i bambini per condurli nel ricovero antiaereo. Ma una bomba colpisce un’ala dell’edificio facendo crollare la scalinata che in quel momento è utilizzata per scendere nel ricovero, distruggendo anche quest’ultimo.
Nel bombardamento muoiono 184 scolari e 19 adulti tra insegnanti e inservienti. Muoiono inoltre 18 bambini di tenera età, con i rispettivi genitori che li stavano conducendo via.
Oggi, nel quartiere di Gorla, rimane a ricordo della tragedia il monumento situato in Piazza Piccoli Martiri.

Il Popolo d'Italia


Il Fascismo non si abbatte, perché è nel solco della Storia, perché rappresenta e difende valori morali altissimi - non interessi di borghesi - senza dei quali la società nazionale si dissolve e precipita nel caos. Il Fascismo italiano è una tipica creazione del Popolo italiano, il quale è stufo di metafisiche oltremontane, ora russe, ora tedesche, e vuole trovare in sé la dottrina e la praxis del suo progresso verso forme migliori di vita e di civiltà.
Benito Mussolini (Il Popolo d'Italia - 20 ottobre 1920)

lunedì 19 ottobre 2009

Umberto di Savoia Aosta 1889 - 1918


Figlio di Amedeo di Savoia-Aosta e di Letizia Bonaparte, rimase orfano di padre ad un anno e venne allevato dalla madre e dalla nonna materna, la principessa Clotilde, figlia del re Vittorio Emanuele II. Studiò all'Accademia Navale di Livorno quindi, allo scoppio della I Guerra Mondiale, si arruolò come soldato semplice nei Cavalleggeri di Treviso con cui combatté prima sul Carso e poi sul Monte Grappa. Colpito qui dalla febbre spagnola, venne ricoverato a casa Chiavacci di Crespano, dove morì dopo qualche settimana, il 19 ottobre 1918. Le sue spoglie vennero traslate nel 1926 all'Ossario militare di Bassano del Grappa.

domenica 18 ottobre 2009

Mafalda di Savoia


L’armistizio dell’8 settembre 1943 provocherà l’arresto di Filippo d’Assia in Germania, mentre il 22 settembre 1943 sarà l’ultimo giorno trascorso a Roma da Mafalda di Savoia: l’ex tenente colonnello della Gestapo, Herbert Kappler, farà giungere Mafalda presso l’ambasciata germanica di Roma, attirandola con l’ingannevole possibilità di un contatto telefonico con il marito, ma l’unico scopo era quello di trarla in arresto e deportarla a Berlino ad opera del tenente Theil. Dall’ufficio IV delle SS. nell’acquartieramento della Gestapo a Berlino, Mafalda d’Assia viene trasferita, il 18 ottobre 1943, nel campo di concentramento di Buchenwald, nella baracca 15. Per gli undici mesi successivi resterà lì e sarà conosciuta con il nome di Frau von Weber. Secondo le testimonianze raccolte, tra cui quella della compagna d’internamento Tony Breitscheid (moglie di un deputato socialdemocratico tedesco, anch’egli alloggiato nella baracca 15) sappiamo che abitava in una costruzione all’esterno del campo di concentramento vero e proprio, in mezzo ad un piccolo terreno piantato a faggi, circondato da un muro sormontato da filo spinato elettrificato. Nella baracca Mafalda aveva come assistente una certa Maria Ruhnau. Tralasciando la situazione psicologica della principessa, il trattamento riservato alla baracca, in termini di cibo era notevolmente migliore rispetto agli internati del campo, purtroppo il vestiario e soprattutto le calzature di Mafalda lasciavano grosse difficoltà di adattamento per il freddo inverno. La baracca 15 era all’esterno del campo (quasi un privilegio!), ma vicina alle Officine Gustloff che lavoravano per scopi bellici. Tra luglio e agosto 1944 aumentarono i bombardamenti americani e inglesi sulla zona, attirati soprattutto dalla fabbrica di componenti bellici. Il 24 agosto i bombardamenti aumentarono ulteriormente, gli occupanti della baracca 15, per allontanarsi dall’obiettivo degli alleati, si rifugiarono nel fossato attiguo: una bomba incendiaria distrusse completamente la baracca, un’altra provocò ustioni alla principessa e la morte del marito della signora Breithschneid. Mafalda durante il trasferimento alla pseudo-infermeria improvvisata per l’occasione (allestita all’interno del “bordello” del campo in cui non mancavano arredi confortevoli), incontra i deportati italiani Vittorio e Rino Rizzo a cui dice: “ricordatevi di me come di una vostra sorella italiana”. La principessa ebbe le prime cure da parte di un medico ceco prigioniero anche lui, poi venne “seguita” dal medico capo del campo di concentramento Gerhard Schieldlausky. Il braccio sinistro era completamente bruciato, si attivò solo una terapia di bonificazione cardiaca invece di lenire le ustioni; solo il 28 agosto, dopo aver favorito la cancrena e l’ulteriore indebolimenti fisico, fu operata, con un intervento “tecnicamente impeccabile” che, però, favorì un’enorme perdita di sangue. Da quel “delitto sanitario” Mafalda non si risvegliò più. La mattina seguente il sacerdote boemo padre Joseph Tyl rinvenne la salma nuda di Mafalda in prossimità del forno crematorio, riuscì a farsela consegnare e la seppellì nel cimitero delle SS a Weimar. La tomba aveva una tabella in legno con il numero 262 e la scritta Eine unbekannte Frau (una donna sconosciuta).

sabato 17 ottobre 2009

L'ultima carica

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Ricorre oggi il 66° anniversario di quella che veramente fu l'ultima carica della cavalleria italiana.

Il 17 ottobre del 1942 il 14° Rgt. Cavalleggeri di Alessandria si trovava in Jugoslavia, nella zona di Perjasica, per contrastare le consistenti formazioni partigiane attive nell’area. Alessandria era supportato nell’azione da una sezione di artiglieria del I/23° artiglieria "Re" e da 8 carri leggeri appartenenti al 3° Squadrone "San Giusto".

Nel corso dell’operazione la colonna italiana venne fatta segno fin dal mattino di ripetuti attacchi con armi leggere da parte di forze partigiane finchè il comandante, Col. Mario Aimone Cat, valutata la situazione e l’approssimarsi del buio, decise di attestarsi a difesa su alcune modeste alture per conseguire un vantaggio tattico e costringere il nemico a scoprirsi.

Purtroppo dal comando giunse l'ordine di rientrare. Inutilmente Il Col. Aimone Cat fece notare che la situazione sul campo era mutata ed il muoversi avrebbe esposto la colonna al fuoco del nemico che aveva ben preparato le sue mosse e nel frattempo si era appostato in forze lungo la strada che il reparto avrebbe dovuto percorrere. L'ordine venne confermato ed Alessandria si mise in marcia.

La colonna si divenne così bersaglio del fuoco proveniente dalla postazioni partigiane, disposte a formare delle successive linee di sbarramento. Per superarle gli squadroni di Alessandria dovettero eseguire ripetute cariche, nel corso delle quali venne “smarrito” lo stendardo, fortunosamente recuperato il giorno dopo tra i rami di un albero.

La carica di Poloj fu una azione di grande valore, eseguita in maniera esemplare, con diversi atti di eroismo individuali, ma non scaturita dalla autonoma decisione del suo comandante quanto imposta dall’alto, per eseguire un ordine. Alessandria rientrò come gli era stato ordinato ma pagando un alto prezzo in vite umane: 70 morti e 61 feriti, in maggioranza del 4° Squadrone. Potevano (forse) essere evitate o ridotte se il combattimento fosse stato condotto liberamente dal comandante sul campo.

Difatti su questa carica venne quasi immediatamente steso un velo di imbarazzante silenzio. Divulgare completamente le circostanze in cui avvenne avrebbe messo in luce le manchevolezze dei comandi e la leggerezza con cui venivano impartiti gli ordini. Anche per questo si parlò e scrisse molto sulla carica di Savoia ad Isbuscenskij, molto, molto meno della carica di Poloj.

Quindi trovo ancor più giusto ricordare chi lasciò la vita in una sconosciuta località jugoslava rischiando anche l'oblio.

venerdì 16 ottobre 2009

La Lunga Marcia


La Lunga Marcia che tutti i cinesi studiano sui banchi di scuola iniziò il 16 ottobre 1934, quando Mao nella Cina meridionale si mise alla testa dei duecentomila comunisti inseguiti dalle forze nazionaliste di Chiang Kai-shek. Dopo quasi due anni di resistenza, una fuga di diecimila miglia fra le montagne, e pesanti perdite che lo avevano decimato, l´esercito rosso raggiunse gli altipiani del nord-ovest dove poteva ricevere gli aiuti militari dell´Unione sovietica, e proseguire la lotta partigiana anche contro l´invasore giapponese. Oggi 16 ottobre 2009 il governo per dare solennità alla sua iniziativa ha recuperato una reduce famosa, l´ultraottantene Lin Jiamei, vedova dell´ex presidente della Repubblica Li Xiannan, che fu una giovanissima partigiana al fianco di Mao.

giovedì 15 ottobre 2009

Mata Hari


Margaretha Gertruida Zelle, meglio conosciuta come Mata Hari, è stata la regina di tutte le spie. Dotata di un fascino leggendario, sembra che nessun uomo sia mai riuscito a resisterle, in specie i numerosi ufficiali e uomini dell'esercito (sempre di altissimo rango) che ebbe modo di frequentare.
Processata e riconosciuta colpevole di doppiogiochismo per aver lavorato al servizio della Germania durante la prima guerra mondiale, venne fucilata alle quattro del mattino nei pressi di Parigi il giorno 15 ottobre 1917.
Al momento della morte fu comunque a suo modo eroica, fredda e sprezzante del pericolo. Le cronache infatti riportano che poco prima della fatale esecuzione, rivolgesse baci ai soldati incaricati di spararle contro.

mercoledì 14 ottobre 2009

Esercito e Fascismo



“ ESERCITO E FASCISMO ”
(Il Popolo d'Italia, N. 246)
(14 ottobre 1922)

"In una riunione tenutasi a Roma fra alcuni borghesi - borghesi del giornalismo, borghesi della finanza, borghesi della politica, quei borghesi, insomma, che hanno molte ragioni per odiare il fascismo, perché il fascismo si propone di eliminarli e li eliminerà! - è intervenuto anche il generale Badoglio.
Il generale Badoglio si sarebbe espresso, in questi precisi termini: « Al primo fuoco, tutto il fascismo crollerà ».
Noi non chiediamo al generale Badoglio la conferma o la smentita di questa frase, perché sappiamo da fonte ineccepibile che è stata pronunciata.
Del resto, altre notizie la rendono attendibile. Il generale Badoglio, insomma, si sarebbe assunto il compito di affogare nel sangue il fascismo italiano. Questo l'incarico che gli ha dato Taddei. A tale uopo, il generale Badoglio - che non ricopre oggi gradi definiti nella gerarchia militare essendo egli «a disposizione del ministero» - ha cominciato con l'ordinare il richiamo di ufficiali, specialmente del Mezzogiorno e delle Isole, sul cui lealismo il generale crede di potere assolutamente contare.

Inoltre si è iniziata una propaganda fra gli ufficiali, intesa a dimostrare che il fascismo minaccia la monarchia e quindi obbligo degli ufficiali è di sparare sui fascisti, anche se, lasciando da parte la dinastia, si trattasse solo di spazzare la miserabile genia politica che ha rovinato la nazione.
Tutta questa preparazione dovrebbe rendere possibile l'esecuzione del massacro in grande stile.

Il generale Badoglio s'inganna. Si è già fatto fuoco sui fascisti. A Sarzana ne caddero quattordici, a Modena otto. Ora, nella zona di Sarzana, il fascismo è così formidabilmente inquadrato, che dispone di regolari reparti di cavalleria, come documentiamo in questa stessa pagina. Quanto a Modena, il dominio del fascismo è incontrastato.
Noi crediamo che i torbidi propositi del generale Badoglio non avranno mai una realizzazione. L'esercito nazionale non verrà contro l'esercito delle « camicie nere » per la semplicissima ragione che i fascisti non andranno mai contro l'esercito nazionale, verso il quale nutrono il più alto rispetto e ammirazione infinita. Gli ufficiali non dimenticheranno che se la loro divisa non è oggi sputacchiata come lo fu nel biennio 1919-'20; che se possono circolare in divisa liberamente e non già travestiti in borghese, come furono costretti a fare ai tempi del nefando Cagoia; se c'è, insomma, un'atmosfera cambiata nei riguardi dell'esercito nazionale, lo si deve esclusivamente al fascismo.
Malgrado tutto, noi crediamo che il generale Badoglio si rifiuterà al tentativo inutile di fare il carnefice del fascismo italiano. – MUSSOLINI
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martedì 13 ottobre 2009

George Bernard Show


George Bernard Shaw sul Manchester Guardian del 13 ottobre 1927.

"QUEL MUSSOLINI, CHE GRAND' UOMO DI GOVERNO! "

Fino a quando Mussolini potrà dire: "Qui sono e qui resto"; e il popolo dirà: "Così sia, viva il Duce!", noi dobbiamo accettare la situazione. E faremmo bene ad accettarla di buona grazia" La chiara, consapevole e franca sicurezza con cui il signor Mussolini si presenta fa senza dubbio un divertente contrasto con le illusioni e con la umiltà da burla con cui noi lo rimproveriamo perché fa in Italia quel che noi non abbiamo mai esitato a fare in Inghilterra e in Irlanda di fronte a provocazioni assai minori di quelle che egli ha dovuto affrontare. Si crederebbe che i nostri ministeri di oligarchi non abbiano mai sospeso l' Habeas Corpus, o soppresso un giornale, o perseguitato un oppositore. All' oligarca britannico, a quel che pare, è lecito rubare un cavallo, mentre al dittatore italiano non è lecito stare a guardia della propria siepe. Eppure la sola differenza visibile fra l' oligarchia britannica e il dittatore italiano è che quella dà un calcio ai diritti costituzionali per assicurare il predominio della propria classe, mentre questo lo fa per ottenere che i pubblici servizi siano condotti con diligenza per il bene del pubblico. Tutte le persone, con le quali discussi su di lui in Italia l' anno scorso, ammisero questo fatto, e lo addussero come la ragione per cui davano a Mussolini il loro appoggio, nonostante che egli non rispettasse gli articoli della nostra Dichiarazione dei Diritti. Essi non sentono alcun affetto speciale per Mussolini ma sono contenti che i treni arrivino in orario e gli impiegati pubblici abbiano da lavorare se vogliono guadagnarsi la paga. Se questo non fosse, perché gli italiani tollererebbero il Duce? Le sue Camicie Nere non potrebbero resistere alla ostilità del paese più che alla polizia di Londra. In verità evidente è che non le Camicie Nere proteggono Mussolini, ma Mussolini le Camicie Nere. Mussolini non è popolare come i nostri demagoghi. Non lo è perché la gente ne ha troppa paura. Ma lo ritengono indispensabile, e questo deve significare che lo trovano utile. Sono così stanchi della indisciplina, della confusione e della paralisi parlamentare che sentono e pensano che Mussolini sia il tiranno che ci vuole. Questo è almeno ciò che colpì le mie superficiali osservazioni di turista. Gli italiani potranno stancarsi di lui e ritornare al parlamentarismo, o Mussolini nel naturale corso degli eventi morirà, come Cromwell morì, lasciando che essi ricadano come noi ricademmo dopo Cromwell. Ma frattanto, ricordiamoci che non giovò essere sgarbati con Cromwell, finché egli durò; e siccome evidentemente anche noi abbiamo paura del signor Mussolini, faremmo meglio a trattarlo con riguardo e rispetto, tanto per buona politica quanto per buona educazione. Alcune delle cose che Mussolini ha fatto ed altre che minaccia di fare vanno nella direzione del socialismo più avanti di quanto il Labour Party inglese oserebbe fare se andasse al potere. Quelle opere condurranno Mussolini prima o poi a un serio conflitto con il capitalismo, e non è certo affar mio né di un socialista indebolirlo in previsione di questo conflitto. Fin a quando egli potrà dire: J' y suis et j' y reste, e il popolo italiano dirà: Così sia, viva il Duce!, noi dobbiamo accettare la situazione; e faremo bene ad accettarla di buona grazia. Nel mio articolo del 24 gennaio sul Daily News domandavo buon senso e buone maniere nel trattare un uomo di stato straniero, che aveva instaurato una dittatura in un grande stato moderno senza essere assistito da un solo privilegio sociale, ufficiale o accademico, dopo avere marciato su Roma con un seguito di Camicie Nere che un solo reggimento ben disciplinato agli ordini di un governo competente avrebbe potuto sgominare da un momento all' altro. Mussolini, senza il prestigio di Napoleone, fece per l' Italia quello che Napoleone aveva fatto per la Francia. Dobbiamo fargli credito per l' opera che ha compiuta, ammettere che era necessaria e riconoscere che i nostri sedicenti socialisti, sindacalisti, comunisti, anarchici, ecc., si mostrarono incapaci non solo di compiere un' opera di quel genere, ma finanche di capirla.

lunedì 12 ottobre 2009

C'era una volta (la sapevate questa?)

Il 12 ottobre 1942, Colombus Day, il presidente Roosevelt revoca lo status di nemici stranieri agli italo-americani. A convincerlo sono le pressioni politiche dell'establishment democratico e sindacale del paese. Giapponesi e tedeschi dovranno aspettare la fine della guerra per riacquistare i loro diritti.
Il 7 dicembre del 1941 gli Usa erano entrati in guerra. Un decreto di Roosevelt stabiliva che gli italiani, i giapponesi e i tedeschi residenti in America dovevano essere trattati da stranieri nemici. Il decreto colpì 600.000 italo-americani privi di cittadinanza Usa.
Centinaia di italiani furono tratti in arresto nei mesi successivi al bombardamento di Pearl Harbor. Un numero ancora oggi indefinito di italiani venne internato in campi militari in Montana, Oklahoma, Tennessee e Texas. Il più noto era il campo di Missoula. Alcune centinaia vi rimasero per oltre due anni. Molti furono spostati in continuazione da un campo all'altro.
L’internamento di oltre 100.000 giapponesi è un fatto noto, non altrettanto la deportazione e l’internamento di migliaia di Italiani che vennero classificati come stranieri nemici.
Dobbiamo ricordare che all’epoca della Seconda Guerra Mondiale gli italiani rappresentavano la comunità di emigranti più numerosa in America, ma nel corso di una sola notte divennero il Nemico. Per seicentomila individui il Sogno Americano si trasformò improvvisamente in un incubo. Isolati, privati dei diritti civili, sottoposti a coprifuoco, rinchiusi in campi di internamento, lontani dalle proprie famiglie e dai propri affari, o addirittura imprigionati. Non per quello che avevano fatto, ma per quello che avrebbero potuto fare. La loro unica colpa era quella di essere italiani.
Esemplare, quanto poco nota, la vicenda della famiglia Di Maggio. Mentre la leggenda del baseball Joe ed i fratelli Dominic e Vince partivano per il fronte indossando la divisa americana, il padre Giuseppe veniva deportato e costretto ad abbandonare la gestione del ristorante al Fisherman Wharf di San Francisco. Il vecchio Di Maggio non si era mai curato di avviare la procedura burocratica di nazionalizzazione per sè. Aveva pensato solo a lavorare duro, a crescere ed educare i figli. Il suo essere rimasto italiano gli valse l’etichetta di straniero nemico, con la applicazione delle conseguenti misure restrittive.
600.000 famiglie furono etichettate come "enemy aliens" - stranieri nemici, da un giorno all’altro e le loro garanzie fondamentali furono violate, causando danni permanenti e spesso tragedie.
Non si possono, e non si devono dimenticare le tremende vicende umane di Martini Battistessa, di Giuseppe Mecheli, di Stefano Terranova, di Giovanni Sanguenetti, anziani immigrati che, nell’arco di 5 giorni dall’ordine di evacuazione nel febbraio 1942, si suicidarono, incapaci di comprendere e sopratutto di accettare quella decisione che avrebbe sconvolto le loro vite, sotto il piano economico e quello degli affetti.
Il Governo Americano, come è facile intuire, non aveva alcun interesse a pubblicizzare una storia di palesi violazioni dei diritti civili, mentre la comunità italiana ha voluto dimenticare al più presto una vicenda che ha vissuto, paradossalmente come una vergogna. Una umiliazione della quale non parlare nemmeno con i figli o con i nipoti. Dobbiamo tener presente che per gli immigrati italiani negli anni 30 e 40 il vero obiettivo era quello di integrarsi, di diventare insomma americani, e questa vicenda non li avrebbe aiutati in questo percorso.
I giapponesi invece, già all’indomani della fine della guerra, chiesero le scuse del governo americano, che ottennero ufficialmente nel 1988, insieme ad un indennizzo di $ 20,000 per ogni vittima del pregiudizio etnico.

domenica 11 ottobre 2009

C'era una volta


L'11 ottobre 1943 il governo italiano, tramite la Missione Militare Alleata, invia all'ambasciatore Paulucci a Madrid l'ordine di consegnare all'ambasciatore tedesco la dichiarazione di guerra italiana alla Germania. L'ambasciatore tedesco a Madrid si rifiuterà di accettarla.

I commenti su questo episodio sarebbero particolarmente graditi.

sabato 10 ottobre 2009

C'era una volta


Il 10 ottobre 1953 Tito denuncia pubblicamente la decisione angloamericana di rimettere l'amministrazione della zona A del Territorio Libero di Trieste al governo italiano come una violazione unilaterale del trattato di pace e riafferma che il suo paese valuterà l'occupazione della zona A da parte dell'Italia come un'aggressione, a cui risponderà con la forza. Perciò manderà rifornimenti militari alle truppe nella zona B in quanto, nel momento in cui l'Italia dovesse entrare nella zona A, varcherà i confini. La proposta jugoslava è di ritirare la dichiarazione e dividere il TLT in due unità autonome, una sotto la sovranità jugoslava, l'altra sotto quella italiana.

venerdì 9 ottobre 2009

Il libro del giorno


Oggi ricorre il quarantaduesimo anniversario dell'uccisione di Ernesto "Che" Guevara. Vi propongo perciò questo suo scritto edito nel 1961, quando il comandante era ancora in vita nel ruolo di Ministro dell'Industria di Cuba.
E' un manuale di strategia della guerriglia, quella che applicherà in seguito, dopo aver lasciato l'isola nel 1965, prima nell'allora Congo Belga e poi in Bolivia, dove verrà catturato ed ucciso il 9 ottobre del 1967.
In fondo al volume vi sono alcune interessanti illustrazioni del Tenente dell'Esercito Ribelle Hernando Lopez. Ve ne mostro una relativa all'adattamento di una bottiglia "Molotov" ad un fucile.
Vi lascio con una frase di Camilo Cienfuegos, uno dei tre capi militari della Rivoluzione cubana, insieme con Ernesto Guevara e Fidel Castro:

"L'esercito è il popolo in uniforme".

Nel salutarVi Vi ricordo che il principio di questo blog è la partecipazione, lo scambio, il dibattito.
Vi aspetto

giovedì 8 ottobre 2009

C'era una volta


L'8 ottobre del 1953, alle ore tre del pomeriggio, viene rilasciato un annuncio simultaneo da parte del Dipartimento di Stato e del Foreign Office, in cui i due governi, che dalla fine della seconda guerra mondiale hanno amministrato congiuntamente la Zona A del Territorio Libero di Trieste in base ai termini del trattato di pace italiano, mentre la Jugoslavia ha amministrato temporaneamente la Zona B, dopo aver esercitato più volte i loro buoni uffici per promuovere una soluzione concordata dalle parti, decidono "...di porre fine al governo militare alleato, di ritirare le truppe e, tenuto conto del preminente carattere italiano della Zona A, di rimettere l'amministrazione di quella al governo italiano". Viene anche consegnato un appunto segreto all'Italia in cui si afferma che la soluzione è provvisoria. La reazione dell'Italia è entusiastica, mentre quella della Jugoslavia è aspra. Lo stesso giorno la Jugoslavia annuncia alla radio che prenderà dei provvedimenti contro la decisione davanti alle Nazioni Unite.

mercoledì 7 ottobre 2009

C'era una volta


Il 7 ottobre 1924 si conclude il Congresso dei Liberali, da cui emerge la linea del partito di schierarsi con l'opposizione.

martedì 6 ottobre 2009

Un libro di Alfonso Pasquali


In linea con quanto anticipato nei saluti di apertura Vi segnalo e consiglio questo libro di un Fananese D.O.C. E' la storia di questa comunità nel triste periodo della guerra civile.
Attendo graditi commenti
Buona lettura

lunedì 5 ottobre 2009

Benvenuti


Ciao a tutti.
Sarò lieto di conoscerVi, in particolare se condividete con me la passione della lettura e la vita nella piccola comunità di Fanano, sull'Appennino modenese.
Che cosa mi propongo? Di avere uno scambio di opinioni, di esperienze vissute, di racconti per quel che concerne la Storia passata e presente del nostro Paese. Con Paese intendo l'Italia, ma soprattutto Fanano, che ho conosciuto vent'anni fa e che mi ha conquistato con la straordinaria bellezza del suo territorio.
Come avrete capito amo la Storia Contemporanea, la nostra Storia, crudele ed ambigua ma dotata anche del fascino che genera la curiosità di chi ne è figlio.
Vi aspetto con proposte, iniziative, impressioni e critiche e...tutto quello che Vi viene in mente.
Al più presto
Nel frattempo Vi propongo il mio libro
Germano