domenica 6 dicembre 2009

Il Popolo d'Italia


NOI E LA CLASSE OPERAIA
(Il Popolo d'Italia, N. 335, 6 dicembre 1919)


Dire, come si dice da taluni in malafede, che noi siamo nemici della classe operaia, che vogliamo ostacolare il cammino della classe operaia, che vogliamo lo sterminio della classe operaia, semplicemente perché siamo avversari dichiarati e aperti del Partito pseudo-Socialista Ufficiale, o perché, in buona compagnia del grande Cipriani e con cento altri non dei minori socialisti, abbiamo sostenuto la necessità per l'Italia dell'intervento in guerra, dire tutto ciò, significa varare la più banale delle menzogne, significa mettere in circolazione la più grossa delle stupidità. Centinaia e forse migliaia di operai di Milano e di altri siti, potrebbero recarci la loro personale testimonianza circa i fatti e le prove dei nostri rapporti coi singoli operai o colle loro masse, ma lasciamo questo che è affare privato fuori di discussione.
Coloro che ci ritengono “nemici” della classe operaia italiana, ci offendono nel peggiore dei modi: ci offendono nella nostra intelligenza.
Ora, in dieci anni di feroci polemiche con ogni sorta di avversari, nessuno ci ha negato il dono dell'intelligenza. Solo un criminale o un inintelligente può odiare la classe operaia, cioè la classe di coloro che guadagnano la vita lavorando onestamente colle braccia nei campi e nelle officine.
La classe operaia italiana, industriale, commerciale, agricola, dei trasporti abbraccia fra uomini, donne, vecchi e bambini dai venti ai venticinque milioni di creature.
Non solo queste hanno in comune con noi e con tutti gli altri italiani i dati fondamentali della natura umana, ma hanno con noi, in comune, i dati peculiari della nostra stirpe.

Come si può fare oggetto di odio o anche di semplice avversione una massa così imponente di individui? Dal punto di vista umano è più che assurdo: inconcepibile. Dal punto di vista sociale, dell'utilità sociale ai fini dell'economia nazionale, non si comprende l'avversione alla massa operaia.
La massa operaia, il cosiddetto proletariato, non è già, come appare nella vieta e vecchia nomenclatura del socialismo rivoluzionario, qualche cosa di omogeno, di compatto, di nettamente differenziato da tutte le altre classi. Anche nel proletariato ci sono delle differenziazioni, delle scale, delle gerarchie di funzioni che determinano delle gerarchie di valori non soltanto tecnici ma morali. Ci sono degli operai che stanno al margine della scienza. Ci sono degli operai che toccano le soglie dell'arte. Ci sono accanto agli operai del libro, quelli che amano il libro.
Anche fra gli operai ci sono i raffinati, quelli che hanno abitudini e temperamenti diversi dai loro compagni. I motoristi, gli elettricisti, i modellisti sono ad esempio l'aristocrazia dell'officina. Un motorista rappresenta, oggi, nell'età magnifica della trazione meccanica per terra, per mare, per cielo, un valore sociale superiore a quello di mille altri personaggi più o meno decorativi della società. Ci sono degli operai davanti ai quali io non so nascondere un senso di ammirazione : e sono quelli che non lavorano soltanto di braccia, ma anche e soprattutto di cervello.
Dal bracciante allo scalpellino; dal facchino al macchinista; dal carrettiere all'orefice, c'è tutta una gamma infinita di attività, di possibilità e di valori individuali e collettivi, che spezzano e frastagliano l'unità, puramente formale, della massa operaia. È stolto parlare, nei nostri riguardi, di avversione alla classe dei lavoratori. La verità è che noi combattiamo le cattive tendenze spirituali di una parte della massa operaia: non già, si noti bene, l'anelito verso un regime migliore, anelito che crediamo utile, ai fini del progresso generale, pungolare, invece che sopprimere; combattiamo la megalomania socialista, l'iperbolizzazione e la cortigiana adulazione socialista della massa operaia, per cui si dà a credere che soltanto i lavoratori del braccio hanno diritto di vita e di governo, anche se non li assiste la virtù e la capacità.
Combattiamo la speculazione che i socialisti ufficiali - Partito politico composto in minimissima parte di operai - compiono sul cosiddetto proletariato. Combattiamo l'assurda aspirazione che tenterebbe ridurre al solo “dato” del lavoro manuale la vita enormemente complessa delle società occidentali.
Combattiamo tutto ciò che può abbrutire ed imbestialire i lavoratori dalla dottrinetta clericale al catechismo rosso. Osteggiamo la tutela e la rappresentanza che i socialisti abusivamente si arrogano in nome e per conto del proletariato. Non combattiamo l'organizzazione di classe quando ci è possibile l'aiutiamo. Le nostre idee in materia sono note noi vagheggiamo una organizzazione sindacale che sia completamente autonoma da partiti e da sette; che elabori in sé, secondo le circostanze, i luoghi e le esperienze, le proprie tattiche e i propri ideali; che sia elastica e snodata, senza vincoli di pregiudiziali; che passi dalla lotta di classe alla collaborazione attiva e passiva e da questa ancora alla lotta di classe o all'espropriazione di classe, tutte le volte che l'obbiettivo sindacale coincida col più grande interesse della collettività. Non siamo nemici né servi della classe operaia. Quando occorre andiamo contro corrente e non ci importa di spezzare i misoneismi e di affrontare le lapidazioni morali e materiali degli ignavi, degli incoscienti e della teppaglia.
Conserviamo, di fronte a chiunque, in alto e in basso, il nostro più prezioso tesoro : l'indipendenza. Questa è che ci distingue dal tesserato gregge pecorile, e ci inimica i cattivi pastori che la sfruttano con gli inganni e i trucchi della “demagogia”. –MUSSOLINI
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